Il dibattito sul fatto che alcuni o tutti gli aspetti del carattere e della personalità siano innati oppure acquisiti è vecchio come il mondo. Non è dunque nostro obiettivo alimentare ulteriori polemiche o cercare di convincere di una tesi piuttosto che dell’altra.

Nella storia della conoscenza e della cultura si trovano in continuazione dati, notizie e riflessioni che paiono sostenere e confermare l’idea che ciò che l’individuo appare essere deriva dalla sua storia biologica e genetica così come d’altro lato si trovano altrettanti dati notizie e riflessioni che sembrano avvalorare la tesi opposta. Che cioè egli sia il prodotto di storie e di relazioni umane, affettive, emotive, sociali, culturali, ecc.

Tali filosofie si sono sedimentate anche nella cultura e nei detti popolari così come nei proverbi. Si potrebbe iniziare con tutti i riferimenti alle somiglianze. In molte famiglie c’è la “mania” di dover per forza e ad ogni costo cercare i riferimenti di somiglianza per ogni individuo. Somiglianze fisiche ma anche comportamentali o di abitudini.

Già sulle somiglianze fisiche le cose non sono sempre chiare come invece potrebbero apparire perché diversi interlocutori spesso non sono d’accordo che Luigi assomigli più al padre che alla madre o alla zia piuttosto che al nonno. Peraltro ci sono in effetti somiglianze molto evidenti ma ce ne sono altre così sfumate che sono “viste” quasi solo da chi le vuole vedere.

Ma il bello viene quando si parla delle somiglianze psicologiche e comportamentali. In alcuni contesti c’è un vero bisogno di trovare dei riferimenti e delle derivazioni per gli individui già a partire dalla prima infanzia.

Di un bambino timido o magari semplicemente tranquillo o di un altro vivace e irrequieto non ci si limita a constatare la cosa magari dando ad ognuno il tempo di confermare oppure di modificare quelle prime impressioni ma si cerca subito un inquadramento.

“Giovanni è veramente buono dove lo metti sta, ti puoi fidare che non ti combina guai.” “Mario invece è l’opposto non sta mai fermo e appena giri l’occhio te ne combina una delle sue.” Valutazioni che se non diventano giudizi di valore vanno bene: si tratta di osservazioni e considerazioni normali e innocue. Tuttavia più quelle valutazioni diventano stabili, continue nel tempo e rigide più aumenta il rischio che si passi da aspetti valutativi a stati esistenziali innati e determinati dalla natura biologica e genetica del soggetto. A quel punto che sia vero o meno che Giovanni sia veramente buono e affidabile e che Mario sia vivace e inaffidabile tali caratteristiche rischiano di passare dal livello della valutazione di comportamenti al livello di rappresentanti di una presunta “sostanza costitutiva dell’individuo”.

Si tratta di valutazioni che diventano progressivamente giudizi e sappiamo come i giudizi diventano progressivamente stigma, timbro e essenza.

Nella maggior parte dei casi sono, come già accennato sopra, delle operazioni quasi innocue, non per forza gravi. Capita anche tuttavia che tali valutazioni e poi giudizi e poi “stati” (è così, non è cosà) che definiscono l’individuo diventino un vero stigma, un marchio, bello o più spesso brutto, che da allora in avanti si sostituirà con la sua maschera stereotipata alla complessità e alla ricchezza emotiva, psicologica e comportamentale della persona.

In questo caso il rischio di ritrovarsi una maschera sgradita e una immagine deformata e rigida rappresenta evidentemente una sgradevole realtà. Se poi a questa procedura di catalogazione degli individui aggiungiamo anche una o più somiglianze con qualche parente dalle stesse caratteristiche e comportamenti il processo di costruzione di un individuo da inserire all’interno di una specifica categoria è completo.

In questo modo la cultura dell’innato, dei geni che determinano sia l’immagine esteriore (è tutto suo padre, ha gli occhi di sua nonna, ride come sua zia, ecc.) che quella interiore ( è timido come sua madre, non sta mai fermo come suo zio alla sua età, è testardo come suo nonno, ecc.) ha fato il suo lavoro. Continua…