La stanchezza è una condizione umana universale. Ognuno di noi l’ha vissuta e provata moltissime volte. Si è stanchi per mille motivi e in mille occasioni. Per il lavoro troppo pesante o troppo stressante, per la fatica di una attività impegnativa sia sul piano fisico che intellettuale, per un periodo di difficoltà particolarmente lungo e che non passa mai, per una malattia, per una perdita che ci lascia senza forze e senza energia, per un rapporto coniugale complicato e insoddisfacente, per delle relazioni sociali o familiari che appesantiscono la nostra capacità di sopportazione, ecc.

L’elenco dei motivi e delle occasioni per essere stanchi è veramente infinito. Vorrei aggiungere un altro elemento che caratterizza la condizione di stanchezza: la sua inesorabilità.

La stanchezza è infatti una esperienza umana inevitabile. Se ci si pensa con attenzione viene subito in mente che ci sono innumerevoli motivi, nella vita di tutti, che provocano stanchezza e che, allo stesso tempo, appaiono inesorabili, immodificabili e non superabili. Almeno nel breve periodo o almeno senza dover mettere in discussione principi fondamentali della propria vita e delle proprie scelte.

Pertanto sarebbe utile e fortemente consigliabile imparare a conviverci. E allora perché parlarne? Perché occuparci di qualcosa che è così, che capita a tutti, che bisognerebbe accettare senza troppe discussioni. Un po’ come il tempo. Che ci piaccia o non ci piaccia se deve piovere pioverà, se non deve piovere non pioverà.

In realtà se la cosa fosse così semplice quando ci sentiamo stanchi potremmo, semplicemente, riposarci. Oppure parlare dello stato che si vive ma senza né preoccuparci troppo né preoccupare chi ci sta vicino.

Abbiamo invece ritenuto utile fermarci a riflettere su questo tema della stanchezza perché pensiamo che sia, oggi, una delle espressioni principali e più usate per manifestare la propria insoddisfazione e il proprio malessere.

Perché dire “sono stanco” spesso vuol dire anche altro e diventa dunque essenzialmente una metafora. Perché vorremmo aiutare chi la vive a ripensare questa frase come ad un segnale, come ad un mezzo per dire e per dirci che non stiamo bene. Che stiamo passando un brutto periodo e che, soprattutto, abbiamo bisogno di aiuto. O almeno di qualcuno che ci ascolti, che accetti di condividere alcune riflessioni, certe preoccupazioni, certe paure e certe difficoltà che viviamo ma che non siamo in grado di esprimere in maniera chiara riuscendo solo a dire “sono stanco”.

Sono stanco può essere la chiave di entrata in un discorso che ci porta a tradurre questa comunicazione nel suo vero e più profondo senso. Ti dico che sono stanco ma ti vorrei dire che sono giù di morale o in difficoltà e che non so come uscirne. Sono addirittura così chiuso in me che non sono neanche capace di dirla tutta e chiara la mia questione. Sono così spaventato dalla mia esperienza esistenziale, sento che mi sta sovrastando e che non sono capace di gestirla e tutto questo a tal punto che non la chiamo nemmeno col suo vero nome ma ci giro intorno sperando che qualcuno colga il mio richiamo.

Richiamare aiuto o attenzione attraverso questa frase può però non essere il modo migliore per farsi ascoltare e per ottenere le risposte sperate. Spesso gli altri sono disattenti o concentrati sui loro problemi o preoccupazioni e non manifestano un ascolto empatico. E così rispondono con frasi banali e stucchevoli. “Sarà un periodo, non ti preoccupare che passa“. E’ la primavera (o il caldo, oppure il freddo, oppure questa pioggia o il secco, ecc.) non ti preoccupare che passa!” “Non ti preoccupare“……………….questo lo dicono sempre e in genere non fa bene a chi si aspetterebbe ben altra accoglienza al proprio dolore e al proprio bisogno di aiuto e di ascolto.

Ci sono poi molte, moltissime altre situazioni nelle quali l’interlocutore ha capito benissimo che la frase “sono stanco” ha ben altri significati che il semplice senso linguistico ma non si sente in grado di accettare la responsabilità di tradurla. Cioè di chiedere all’altro che cosa c’è che non va, da dove viene questa stanchezza, se può fare qualcosa, se l’altro vuole parlare di ciò che lo angustia.

Ci sono altre situazioni in cui l’interlocutore fa finta di non capire, non si vuole prendere in carico tale peso e dunque glissa e banalizza. Altre volte è francamente imbarazzato, non si sente all’altezza ma non è in grado di dirlo.

Per esempio potrebbe dire: Guarda che ho capito che c’è qualcosa che non va ma non sono in grado di aiutarti, posso però ascoltarti.

Anche per dire ciò, per dire cioè che non si è in grado di fare qualcosa è necessario essere forti e umili, accoglienti ma consapevoli dei propri limiti. Purtroppo spesso le paure e le difficoltà degli altri ci spaventano e ci fanno rinchiudere nel nostro piccolo mondo in cui crediamo, a nostra volta, di essere al sicuro.

La frase “sono stanco” può dunque semplicemente esprimere un momento di fatica e di conseguente stanchezza ma può anche essere un sasso gettato nella relazione per poter dire dell’altro. Pensiamo ad un rapporto di coppia, o a una situazione familiare, o a un ambiente di lavoro.

La stessa frase in ogni specifico contesto assume o può assumere significati diversi. Nel rapporto di coppia può prevenire la richiesta dell’altro di fare o non fare qualcosa assieme: uscire, avere un rapporto sessuale, essere lasciato in pace, essere invece coinvolto ecc.

In una famiglia può voler dire non ho voglia di fare i lavori domestici, di prendere una certa iniziativa, di andare a parlare con gli insegnanti del figlio, ecc.

Nel contesto lavorativo i significati sono altrettanto vari e complessi. Mi state stressando, sono insoddisfatto del mio ruolo, constato che il mio carico di lavoro è superiore al vostro, non sono più disponibile a un certo tipo di impegno e così via.

In ogni situazione la condizione individuale di malessere, insoddisfazione e stanchezza dovrebbe probabilmente essere espressa in maniera più chiara per essere capita e accolta nel suo senso più vero. In caso contrario resta l’appello generico, la richiesta “disorganizzata”, il messaggio criptato. Attraverso queste modalità comunicative oscure la speranza di venir capiti è bassa ma le aspettative potrebbero essere alte e così la conseguente delusione è altrettanto alta.

Per questo motivo crediamo sia importante comprendere come potersi ascoltare in maniera differente, accettando i propri momenti di crisi e di malessere; capendo così come si è “fatti” è possibile cogliere come si è imparato a non comunicare e tenerci dentro il dolore invece che esprimerlo, come e perché si ha timore e imbarazzo ad aver bisogno di aiuto, o anche perché si pensa di non essere degni dell’attenzione, del tempo e della cura degli altri.

(vedi anche valutazione e counselling psicologicodisturbi psicosomaticidisturbi sessuali )