Dunque noi riteniamo che le situazioni che emergono da questi semplici esempi siano caratterizzate da ciò che Freud chiamò coazione a ripetere al di là del principio del piacere. Che tradotto vuol dire sentirsi obbligato a ripetere un certo comportamento senza che si tragga da esso alcun piacere. Anzi ottenendone l’esatto contrario: un risultato non utile, disfunzionale, negativo.

E’ necessario dire, per essere corretti, che tali comportamenti, per una piccola parte, sono piuttosto comuni. Capita a molti di ripetere un comportamento sbagliato, di rendersene conto e di cercare di non ripeterlo. Poi magari di riuscire a far bene per un po’ ma poi di ricascare nel vecchio comportamento sbagliato. Da lì riprendersi e superare, almeno per la maggioranza dei casi, quel comportamento negativo.

Ma perché ci sono delle persone che non riescono proprio a interrompere quello schema e persistono nel comportamento disfunzionale con assoluta e triste regolarità?

L’ipotesi freudiana era che la coazione a ripetere fosse indicativa di un meccanismo che si contrappone alla vita. Freud ha definito un istinto di vita e un istinto di morte. Sarebbe troppo lungo qui ripercorrere e analizzare i due concetti che sono molto complessi e che sono stati peraltro descritti e definiti con sfumature diverse e differenze anche importanti nel corso dello svolgersi della riflessione e del lavoro di Freud sulla psiche umana.

Resta però una pista interessante. La coazione a ripetere (ovviamente al di là del principio del piacere) ha un significato di contrarietà alla vita. Con ciò non si intende la vita intesa come vita in sé ma la vita intesa nella sua accezione più generale. Vita come desiderio, voglia e coraggio di esistere, di sentirsi vivi e importanti, di esistere come persona che vale e che vuole essere rispettata, di esistere come persona che ha idee, pensieri e bisogni che vuole soddisfare, ecc.

Si tratta di una pista interessante perché se pensiamo agli esempi fatti sopra emerge una costante che possiamo definire così: in tutti gli esempi emerge un problema di identità della persona che ci indica che ella si sente di valere poco, ha paura di chiedere e di pretendere perché teme di non meritare, mantiene comportamenti disfunzionali perché ha paura del cambiamento, ha cioè paura di non essere in grado di affrontare nuove relazioni, nuovi mondi emotivi, una nuova idea di sé.

Se pensiamo alle sensazioni più negative che ognuno può sperimentare possiamo constatare che si tratta spesso di sensazioni di fallimento, di sentimenti di valere poco, di non essere amabili e desiderabili, di essere poco capaci e poco interessanti.

Tutto ciò può provocare un blocco delle azioni positive, degli impegni verso un miglioramento della propria vita e dunque costringere a rimanere nei vecchi meccanismi disfunzionali.

Ricordiamo ancora una volta che per cambiare è necessario, oltre che la constatazione che ciò che si sta vivendo non ci piace, pensare di meritarsi di meglio, credere in se stessi, nelle proprie capacità e nel proprio potere. Altrimenti non si affronta l’ignoto, non si cerca ciò che non si conosce. Altrimenti si resta nel mondo che fa star male ma che almeno è conosciuto.

Se cambiare da soli è difficile o impossibile probabilmente è più semplice e meno ansiogeno farsi aiutare in questo percorso di cambiamento da una guida che prima ci aiuti a capire i motivi di fondo delle nostre paure e insicurezze e poi ci supporti per un tratto di strada fino a che non siamo diventati sicuri e capaci di proseguire da soli.