L’affido familiare nasce in Italia circa 30 anni fa’ come interessante alternativa al collocamento in Istituto di minori allontanati dalla propria famiglia d’origine.
Gli studi sugli effetti negativi della permanenza dei bambini, specialmente se piccoli, in strutture socio assistenziali dove erano presenti cure materiali ma dove, per la stessa struttura dell’istituto, mancavano adeguate cure affettive, aveva indotto i servizi sociali a cercare alternative a tale scelta. La disponibilità di alcune famiglie particolarmente aperte e disponibili ad accogliere temporaneamente al loro interno dei bambini allontanati dalle loro famiglie naturali fece nascere le prime esperienze di affido etero familiare. Si intende con ciò un affido ad una famiglia con la quale il bambino non ha legami di parentela.
Come tutte le esperienze innovative anche questa creò entusiasmi e critiche ma, senza dubbio, possiamo dire che essa ha rappresentato e rappresenta tuttora una validissima e fondamentale risorsa per la collocazione extra familiare di minori che sono stati allontanati dal proprio nucleo di origine.
Le esperienze di affido si sono così allargate e hanno trovato anche una opportuna identificazione e collocazione giuridica attraverso norme, come la legge 184/83 e le sue successive modifiche, che hanno riconosciuto a questo “istituto” tutto il suo valore per la società e la famiglia.
L’affido si è dunque consolidato, sono entrate a far parte del gruppo di famiglie disponibili un numero sempre più ampio di famiglie e un numero corrispondente di bambini hanno trovato in una famiglia affidataria la loro giusta collocazione.
Ciò ha permesso a questi stessi bambini di vivere la separazione dai propri familiari trovando un ambiente, quello della famiglia affidataria appunto, che dava loro almeno una parte di ciò di cui essi avevano bisogno: un clima familiare, una vita con ritmi “naturali”, il confronto e l’incontro con altri bambini figli della coppia affidataria, ecc. Questa esperienza ha cioè permesso a questi minori di sperimentare una normale vita familiare, di assumere abitudini e comportamenti più regolari, di conoscere e accettare una organizzazione con regole, diritti, doveri, e altre cose ancora.
Possiamo dire che l’affido è stato e resta, dunque, una grande risorsa e una essenziale esperienza per molti bambini che si trovano a vivere condizioni di rischio e di abbandono e che trovano nella nuova famiglia affidataria un buon luogo di vita.
Detto questo è bene comunque ricordare che l’affido è, per definizione, a tempo e che tale esperienza deve accompagnarsi al recupero della famiglia d’origine dove è auspicabile che il bambino possa tornare al più presto.
L’esperienza dell’affido, oltre ai riscontri positivi che abbiamo illustrato, ha mostrato tuttavia anche alcuni elementi problematici e intrinsecamente complessi. Intendiamo fare riferimento alla complessità dell’incontro di due famiglie, alle normali rivalità, spesso inconsce, tra adulti che si occupano dello stesso bambino e, dal punto di vista del bambino stesso, alla difficoltà di rivolgersi a più figure di riferimento che anch’egli sente diverse e a volte con aspettative contrastanti e opposte.
Pensiamo, per esempio, alla famiglia affidataria, che pure è chiamata a non giudicare e a non valutare , che si trova in casa un bambino che è stato gravemente maltrattato o abusato e che, quasi per compensazione, cerca di proteggerlo e curarlo mettendosi in una posizione inevitabilmente lontana da quella della famiglia naturale. Questa condizione, assolutamente comprensibile, può essere percepita dal bambino come complicata da accettare: può cioè essere molto difficile per il bambino tenere contemporaneamente dentro di sé le figure genitoriali, che pur negative e in difficoltà, sono comunque sempre le figure che egli vive come i propri genitori e le nuove figure degli adulti di riferimento che egli valuta più positivamente sul piano relazionale ma che appaiono così lontani e diversi dai propri modelli operativi interni.
E, tenuto conto che nella maggior parte degli affidi il bambino mantiene rapporti con la propria famiglia d’origine, capiterà poi che egli si troverà inevitabilmente a vivere quello che viene definito come un conflitto di lealtà. Cosa dire e come reagire a parole, emozioni, sguardi, domande, ecc. sia degli affidatari che dei genitori su come sta, cosa è successo, come si trova, cosa gli piace, cosa vorrebbe, ecc. ecc.?
Egli infatti sente che se dice certe cose fa contenti o non spaventa i genitori e se ne dice delle altre fa contenti o non smentisce gli affidatari.
E così il bambino, preso tra due lealtà, fa fatica a capire, a essere sé stesso, a vivere serenamente una situazione che dovrebbe essere buona e che invece rischia di diventare meno buona per la sua intrinseca complessità.
Dunque l’affido contiene anche alcuni elementi critici che non ne sminuiscono il valore che resta intatto ma, tuttavia, chiama gli operatori a essere attenti, competenti e particolarmente equilibrati nel supportare le due famiglie a fare, a volte assieme, a volte autonomamente, quei passi e quelle scelte che permettono a tutti di vivere in maniera adeguata una convivenza di affetti e di emozioni.
E così diventa sempre più indispensabile formare le famiglie affidatarie, supportarle e accompagnarle nel corso delle loro esperienze e, allo stesso tempo, è necessario lavorare con i genitori naturali affinchè superino le difficoltà e le crisi che li hanno portati a non essere più in grado di occuparsi dei figli per sperare che questi possano rientrare nella famiglia naturale il prima possibile.
Contemporaneamente gli operatori stessi si possono trovare in mezzo a dispute più o meno chiare e più o meno consce tra la famiglia naturale che contesterà la famiglia affidataria chiedendo il rientro del figlio al più presto e la famiglia affidataria che potrà insistere per diminuire gli incontri del bambino con la famiglia naturale perché, a suo parere, disturbanti, che sosterrà una “appropriazione” del bambino perché i genitori non sono in grado e all’altezza ecc. ecc.
Come si vede si tratta di questioni molto serie e complicate che necessitano di riflessione, di coraggio e di capacità di tenere ben salda la situazione.
Il nostro studio è in grado di offrire progetti di formazione, di aggiornamento e di supervisione sia per operatori dei servizi che a favore di famiglie affidatarie che verranno definiti a seconda delle diverse e particolari esigenze di ogni realtà.