La Stampa, 18 Settembre 2013.

Quali sono le origini familiari della depressione? Come si struttura la coppia in questa patologia? Prospettiva relazionale di un disturbo molto diffuso.

La depressione rappresenta un tema controverso per gli addetti ai lavori. Da molti anni, essendo questo disturbo in drammatico aumento, psichiatri e medici, spalleggiati dal potente sponsor delle case farmaceutiche, si battono affinché la depressione rientri a pieno titolo tra le “patologie organiche”.

Questo tipo di pazienti si presta molto bene ad essere medicalizzato. Accettano volentieri ogni tipo di farmaco e, nel momento in cui la terapia non funziona, si autocolpevolizzano. In fin dei conti, spesso, sono cresciuti in un ambiente familiare che sconsiglia la critica, l’espressione della frustrazione e dell’ostilità e, per questo motivo, si sentono più sicuri in ambienti medici che psicoterapeutici.

Tuttavia, nonostante la netta prevalenza di interventi farmacologici, ritengo che non ci sia disturbo psicologico più legato ad aspetti relazionali, in particolar modo familiari. Soltanto che tale ordine di cause non è sempre evidente e non c’è propensione a parlarne, per lo meno non come la controparte medica.

In ogni modo, prima di andare avanti con la descrizione dei meccanismi familiari alla base della depressione,  ritengo necessaria una precisazione. Quando affermo che la depressione è un disturbo medicalizzato non intendo negare l’importanza degli aspetti biologici. Essi costituiscono la base sulla quale si innestano le nostre esperienze, una sorta di terreno su cui si impiantano gli effetti delle relazioni umane. Tuttavia per avere un buon raccolto non si può solo concimare “chimicamente” il terreno, bisogna curarlo giorno per giorno, scegliendo che cosa seminare.

Possiamo individuare due tipologie “generali” di contesto familiare depressogeno; uno legato ad aspetti clinici importanti (Disturbo Depressivo Maggiore, DMS IV-TR), l’altro connesso a forme più attenuate di umore depresso; iniziamo dalla prima tipologia.

 Le caratteristiche della famiglia d’origine nel Disturbo Depressivo Maggiore

Il futuro depresso viene al mondo all’interno di una coppia coesa, in cui il livello di conflitto è basso e la tendenza è quella di un funzionamento generalmente armonioso. Questa coppia dando priorità alla coniugalità sulla genitorialità, presenta difficoltà a svolgere le funzioni genitoriali. Tali difficoltà sovente si traducono in richieste eccessive e scarso riconoscimento degli sforzi che il futuro paziente compie. Questo tipo di comportamento dei genitori non è necessariamente manifesto, può essere anche estremamente sottile, ambiguo. L’esempio tipico è la figlia nubile o il figlio “debole di costituzione” che devono occuparsi dei genitori anziani o malati. Questi non sono necessariamente poco riconoscenti ma sostanzialmente è sempre la stessa persona a doversi sottomettere alle richieste.

Ad una prima analisi la famiglia della persona depressa può apparire molto unità ma in realtà sotto questa parvenza di coesione si rintraccia un fondo di espulsività e disimpegno. Anche se si parla molto di unità, il soggetto può avere l’impressione che la sua presenza sia in realtà superflua. La coppia genitoriale è effettivamente coesa ma esiste un forte contrasto tra la forza di questo legame ed il distacco emotivo nei confronti dei figli, soprattutto espresso nei confronti del paziente.

La gerarchia familiare è molto rigida, con un coniuge che ricopre un ruolo dominante (in “psicologia sistemica” prende il nome di one-up) e l’altro ha una funzione subalterna (one-down). Lo stile genitoriale è tendenzialmente autoritario, anche se non necessariamente dispotico. Il genitoreone-up, che è quello che esercita l’autorità, ha un ruolo più attivo nello sviluppo del disturbo depressivo; è più esigente, svalutante, squalificante. Per contro, il genitore one-down, sebbene risulti più amorevole e accondiscendente, non può ne vuole rovesciare le “regole del gioco”, contribuendo in modo passivo al mantenimento dello status-quo.

Il livello di adattabilità della famiglia alle situazioni sociali è molto scarso; ogni cambiamento è osteggiato e vissuto come una minaccia, così come le fasi di sviluppo e di crescita da parte dei figli.

Il tema che contraddistingue il nucleo familiare è la necessità di rispettare, di essere all’altezza, delle richieste esterne e delle apparenze sociali. Il successo sociale diviene un elemento indispensabile per essere accettati dalla coppia genitoriale; tutto questo si traduce in un alto livello di richieste e di obiettivi difficili da raggiungere per i figli, costretti a vivere in un contesto basato su richieste continue e irraggiungibili. Tale meccanismo innesca una spirale di situazioni, in cui si da per scontato, il fallimento del futuro paziente, rendendo, di conseguenza, l’incapacità “reale ed effettiva”.

In un clima familiare di questo tipo il giovane adulto si abitua a fallire e a non ribellarsi, costruendo la propria identità intorno a tematiche quali l’autoaccusa, il bisogno di perfezione, la necessità di rispettare le apparenze. Questo aspetto spiega il motivo per cui, se il depresso cede alla disperazione, cerca nel suicidio, atto supremo di depressione, la soluzione alla sua situazione. Suicidandosi la persona si autopunisce per non essere stata all’altezza delle richieste che gli altri esigevano da lui e, allo stesso tempo, si vendica dell’ingiusto trattamento di cui è stato oggetto, lasciando un amaro senso di colpa (esattamente ciò che la persona sente, quindi una sorta di: “occhio per occhio, dente per dente”) in quelli che sopravvivono.

Il periodo in cui la persona è maggiormente vulnerabile agli effetti nefasti del clima familiare è l’infanzia, inclusa la preadolescenza. Se il disturbo depressivo non emerge in seguito a stress durante l’adolescenza e la prima età adulta, diviene probabile che si “attivi” durante la prima “importante”relazione di coppia, nel momento in cui l’individuo comprende, rimanendone deluso, che, neanche in quel rapporto, l’assoluto bisogno di sostegno e aiuto può essere soddisfatto in toto.

Ci occuperemo in dettaglio di questo aspetto nei paragrafi successivi; adesso passiamo alla descrizione della struttura familiare nei casi di depressione meno grave.

La famiglia del depresso nei casi di depressione “minore”

Le caratteristiche familiari delle persone con disturbi depressivi minori, che chiameremo distimiche, sono molto diverse dalle precedenti. In primo luogo la coppia genitoriale è tutt’altro che coesa; il livello di conflitto tra i coniugi è molto alto e questi non esitano ad utilizzare i figli all’interno delle loro battaglie.

Catturato in questo “gioco” familiare, il futuro distimico sperimenta l’ansia legata al conflitto di lealtà, quando si avvicina “parteggiando” per uno dei genitori, si associa rapidamente la perdita della relazione con l’altro.

Il tema della perdita diverrà quindi centrale per la persona, generando tristezza e ansia, ogni qualvolta la storia di vita proporrà mancanze relazionali significative (rottura di rapporti di coppia ad es.).

Sebbene all’interno della famiglia le capacità genitoriali siano ben conservate, l’interesse per i figli è ostacolato dalla difficoltà della coppia a risolvere i propri conflitti, portando ciascun membro alla disperata ricerca di alleati. Si tratta, per usare una metafora, di una atmosfera politica, fatta di alleanze, coalizioni e continue rivalità. Se il primo figli cade nel campo della madre, è molto probabile che il secondo finisca nell’orbita del padre, innescando una serie di conflitti anche tra fratelli. Questo ci permette di capire come il clima emotivo familiare sia costantemente teso ed esplosivo, con un alto livello di esplicitazione dei conflitti, punizioni e ricompense. La comunicazione intrafamiliare è fortemente condizionata dalle alleanze, si può parlare con gli alleati ma non è concesso essere aperti con gli antagonisti.

Come si costruisce la coppia nei casi di depressione grave?

Considerando la descrizione (pur sempre generale) che abbiamo dato della famiglia del depresso, non ci sorprende che questi ricerchi protezione, tentando di fuggire al più presto e con urgenza, dai legami che lo imprigionano nella squalifica. La scelta del partner è dunque connessa con la necessità di ottenere ciò che gli è sempre mancato: una relazione caratterizzata da protezione e valorizzazione, piuttosto che da richieste. Nel momento in cui la incontra è possibile che i problemi finiscano.

Tuttavia, spesso succede che il futuro depresso si lasci ingannare da un’offerta relazionale solo superficialmente adeguata alle sue esigenze. Il tipico coniuge del depresso, infatti, è qualcuno che ha bisogno di mostrare a se stesso e al mondo che è in grado di sostenere e proteggere chi ha bisogno del suo aiuto. Il problema insorge perché  l’aiuto che offre e di cui inizialmente la persona potenzialmente depressa usufruisce, è concesso più per le esigenze del dispensatore, che deve mostrare al mondo la sua forza, che di chi lo riceve.

Nel momento in cui il futuro paziente si rende conto del nuovo inganno (considerando quelli “subiti” nella famiglia di origine), può darsi per vinto, soccombendo definitivamente alla depressione.

La nuova coppia, una volta emersi i sintomi, si struttura in modo rigido: il paziente si abbandona progressivamente al disturbo ed il coniuge acquista sempre maggiore responsabilità e prestigio. Questa facciata serve al compagno per mascherare le sue debolezze; tanto più la persona depressa starà male quanto più il coniuge potrà dimostrare agli altri la sua bontà, la sua abnegazione, il suo impegno.

Riassumendo, la coppia si attorciglia intorno ad un meccanismo circolare, per cui le continue richieste di attenzione del paziente, frustrate dal consorte incapace di farvi fronte, fanno emergere i sintomi; questi innescano ancora di più una “reazione di aiuto” nel membro “sano” della coppia, rafforzando in chi manifesta il disturbo, l’idea di essere incapace, malato e dipendente. Se il meccanismo non viene interrotto la depressione si cronicizza.

La coppia nei casi di depressione lieve

La coppia del distimico si costruisce secondo modalità diverse dalla coppia del depresso “classico”. Generalmente si tratta di una relazione più equilibrata, in cui il potere decisionale è distribuito equamente ma che, proprio per questo, è più vulnerabile al conflitto. Effettivamente il futuro distimico tende a scegliere una persona con una storia familiare simile alla sua. Quando una nuova perdita (la morte del genitore alleato, l’emancipazione dei figli, la disoccupazione, ecc.) scatena la dinamica sintomatica nella persona, l’equilibrio di coppia si rompe, generando conflitti ancora più potenti.

Il meccanismo che si instaura è il seguente: a causa dell’impatto di eventuali perdite significative, il futuro paziente esprime delle lamentele che vengono percepite eccessive dal coniuge; tale percezione impedisce all’altro di mettere in atto adeguate risposte di sostegno e solidarietà. Il suo atteggiamento critico è percepito dal partner, che risponde, a sua volta, con distanziamento ed ostilità. L’emergere dei sintomi ansiosi e depressivi, che avviene solitamente in questa fase, determina un riavvicinamento del coniuge asintomatico, ma tale ricongiungimento tende ad essere vissuto, con il tempo, come manipolatorio e non autentico dal partner (“non lo fa per me, ma per non avere problemi”, ecc.).

Così facendo, la coppia si appiattisce intorno ad un processo di accuse, recriminazioni e sfiducia, che rendono cronico il disturbo.

Linee guida per l’intervento psicologico

L’intervento terapeutico, con tutte le eccezioni del caso, dato che si tratta di considerazioni generali mentre ogni situazione terapeutica è singola ed irripetibile, si muove fondamentalmente su due versanti.

In primo luogo agire sulle dinamiche attuali della coppia, cercando di interrompere i circoli viziosi che mantengono il disturbo. Nel caso della depressione maggiore, ad esempio, diviene fondamentale lavorare sulle dinamiche potenza del coniuge “sano” vs impotenza del coniuge “malato”, facendo comprendere come i sintomi depressivi siano anche il prodotto di questa struttura relazionale.

Nelle situazioni distimiche gran parte del lavoro terapeutico con la coppia si focalizzerà sulla riduzione del conflitto coniugale. Diviene fondamentale per lo psicologo evitare alleanze, rischio concreto poiché la coppia tende a coinvolgere nelle loro battaglie tutti coloro che tentano di intervenire nella situazione.

In secondo luogo il lavoro si dovrà concentrare sullo scardinamento della rappresentazione di un sé “inefficace”, che il paziente ha maturato nella famiglia di origine, prendendo anche in considerazione la possibilità di convocare in seduta la famiglia allargata.

A cura di Dr. Francesco Mori

Riferimenti bibliografici

  • Kerr, M., Bowen, M., La valutazione della famiglia, (1988), Astrolabio, Roma.
  • Gabbard, G., La psichiatria psicodinamica, (2000), Raffaello Cortina, Milano.