La Stampa, 30 Settembre, 2013.
I disturbi alimentari, caratteristiche patologie dell’epoca moderna, sono spesso associati a problemi familiari. In che modo la famiglia di origine influenza la genesi della malattia?
L’anoressia e la bulimia possono essere considerati i disturbi dell’epoca moderna. I media continuamente trasmettono immagini di donne snelle, ricolme di successo, attenzione, amore. In molti paesi occidentali il cibo è sovrabbondante, precondizione necessaria per un comportamento basato su abbuffate alimentari. Le persone che soffrono di disturbi alimentari tendono ad essere di razza caucasica, istruiti, di sesso femminile, economicamente avvantaggiati. L’anoressia nervosa è praticamente sconosciuta nelle culture in cui la magrezza non è pensata come una virtù. Anche se, come vedremo, i fattori psicologici e relazionali familiari non possono essere trascurati per la comprensione delle patologie alimentari, è indubbio che il ruolo dei mass media ha un peso formidabile. Sempre di più la cultura riflette i valori del successo, della supremazia dell’immagine sull’identità interna, la magrezza e la perfezione del corpo sono diventati doti indiscutibili. Non a casol’incidenza dell’anoressia è più che raddoppiata negli ultimi 50 anni, mentre l’incidenza della bulimia si aggira intorno all’ 1%, percentuale elevata. Questi dati inquietanti indicano come i disturbi alimentari rappresentino una “soluzione” sempre più comune ad una varietà di stressor ambientali, sociali e familiari.
Cerchiamo adesso di cogliere le caratteristiche psicologiche dei due disturbi, iniziando proprio dall’anoressia.
Anoressia nervosa: caratteristiche della famiglia
Il termine anoressia può essere fuorviante per la comprensione del fenomeno, poiché letteralmente significa perdita dell’appetito. Ciò che caratterizza l’anoressia è in realtà una fanatica ricerca della magrezza, connessa ad un’opprimente paura di ingrassare. Accanto a questi temi “ossessivi” per l’individuo anoressico, per poter porre la diagnosi è necessario che il soggetto abbia un peso corporeo al di sotto del 85% del normale valore rispetto all’età e all’altezza (oppure un indice di massa corporea al di sotto 17.5). Inoltre, per poter accertare l’anoressia, un’altro sintomo fondamentale, nei soggetti di sesso femminile (il 90-95% del totale), è l’amenorrea (perdita del normale ciclo mestruale).
Una delle maggiori esperte di disturbi alimentari, la psicoanalista Hilde Bruch, ha osservato che la preoccupazione per il cibo ed il peso, tipica dell’anoressia, rappresenta una manifestazione tardiva di un disturbo più profondo della propria identità. Nella maggior parte dei casi, i pazienti con anoressia nervosa hanno la ferma convinzione di essere completamente impotenti ed inefficaci. La patologia spesso si manifesta in “brave bambine” che hanno passato la loro vita cercando di compiacere i genitori, diventando improvvisamente testarde, negati viste e scontrose, durante l’adolescenza.
L’anoressia rappresenta una sorta di tentativo estremo di cura personale, finalizzato a sviluppare, attraverso la “disciplina sul corpo”, un senso di individualità e di sicurezza; sostanzialmente le pazientitrasformano la loro angoscia in preoccupazione per il peso e per il cibo, in modo tale da non doversene più occupare.
Numerose ricerche, condotte in diversi ambiti teorici della psicologia, hanno evidenziato come l’origine del disturbo sia legata ad una distorsione del rapporto tra il/la bambino/a e la madre. Nello specifico,la madre sembra prendersi cura del futuro paziente solo in funzione dei propri bisognipiuttosto che di quelli dell’infante. In realtà, ogni rapporto educativo “sano” tende all’ ”individuazione”, ovvero ad un graduale distaccamento dell’educato dall’educante, in modo tale che il primo raggiunga progressivamente una maggiore autonomia. Invece, la persona anoressica ha passato l’infanzia a percepirsi come una sorta di estensione della madre, un suo “braccio destro”, sentendo impedita la possibilità di esistere separatamente dalle necessità, i progetti e le apprensioni materne.
In questa prospettiva l’improvvisa diminuzione della nutrizione che viene messa in atto dal paziente, può essere interpretata come un ultimo tentativo per “farsi vedere” in famiglia come una persona che ha dei problemi propri; una di richiesta di questo tipo: “Occupatevi di me per quella che sono, non per come volete che io sia!”.
Alcuni rappresentanti della psicologia sistemica (Minuchin, 1978; Palazzoli, 1970) hanno confermato la descrizione del contesto familiare elaborata dalla Bruch. Questi autori hanno evidenziato un vero e proprio “modello familiare” dell’anoressia, caratterizzato dall’ “invischiamento”, ovvero da un eccessivo coinvolgimento di ciascun membro nella vita di tutti gli altri. L’aspetto principale è l’assenza di confini personali; i legami di dipendenza sono fortissimi, tutti la pensano allo stesso modo e non vengono accettate le differenze. Tipica è anche la posizione assunta dal padre all’interno della famiglia; questa persona appare più interessata e supportiva della madre, tuttavia solo superficialmente. Infatti, ogni qual volta la figlia ha “realmente bisogno” della figura paterna, questa si defila; inoltre, sembrano cercare nutrimento emotivo nella prole anziché offrirne. Sostanzialmente, entrambi i genitori provano una grande delusione rispetto al loro matrimonio, il che li porta a cercare sostegno emotivo nei figli.
Quando si innesca la patologia: l’inizio del disturbo
Nella pratica clinica con i pazienti che soffrono di disturbi alimentari, è comune riscontrare narrazioni di un preciso avvenimento o di un’osservazione che li ha fatti sentire troppo grassi ed a partire dal quale il problema si è manifestato; in realtà, questi commenti sono sempre l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come accennato in precedenza, questi episodi sono preceduti da profondi dubbi circa la propria persona e le proprie competenze. Per quanto vari siano gli avvenimenti esteriori che possono innescare la patologia, la causa denunciata non è quasi mai il fattore veramente responsabile. Nel loro modo di pensare concreto ed infantile, le anoressiche imputano al corpo il loro malessere, tentando di risolverlo su quel “terreno”.
Le anoressiche affermano all’unanimità che si limitano nel mangiare perché sono troppo grasse. Nella maggior parte dei casi, però, il peso è del tutto normale, ma le pazienti si comportano come se nessuno avesse mai detto loro che sviluppare certe curve e certe rotondità è parte di una normale pubertà. All’interno di una percezione corporea distorta, attribuiscono a se stesse la colpa dei loro difetti, veri o immaginari, e c’è un elemento veramente autopunitivo nel modo in cui si negano qualunque comodità o piacere.
Le preoccupazioni per il peso si attivano quando la persona è costretta ad affrontare nuove esperienze, ad esempio un campeggio, un nuovo sport o la partenza da casa per l’università. In queste situazioni si sentono in svantaggio, timorose di non riuscire, di non essere all’ “altezza delle circostanze”, finendo con lo spostare tutte le loro ansie di inadeguatezza sul peso e l’aspetto fisico.
Da questo punto di vista possiamo comprendere come la patologia sia un tentativo di arrestare il tempo, di non crescere per evitare di dover affrontare le responsabilità che la vita adulta ed adolescente mette loro davanti. Il ragionamento inconscio che le pazienti faticano a percepire è il seguente: “Fino a che sarò malata potrò sottrarmi al confronto!”.
Bulimia: caratteristiche personali e familiari di un disturbo eterogeneo
Da un punto di vista diagnostico, i pazienti bulimici vengono distinti da quelli anoressici sulla base di un peso relativamente normale e dalla presenza di abbuffate, che sono descritte come atti senza controllo. I soggetti molto sottopeso, che si “ingozzano” in modo incontrollato, sono classificati come anoressiche, sottogruppo bulimico.
Gli esperti concordano come tra i due gruppi clinici esista un considerevole legame; a conferma di ciò, risultano frequenti i passaggi che il paziente opera tra una categoria clinica e l’altra. Almeno il 40/50% delle persone anoressiche è anche bulimica e studi evidenziano come, con il passare del tempo, l’anoressia nervosa possa cedere il passo alla bulimia.
Un’altra ragione che ci porta ad affermare l’assenza di un confine stabile tra anoressia e bulimia è il fatto che il quadro clinico può essere assai vario. Spesso ad entrambi i problemi alimentari si associano disturbi d’ansia, disturbi di personalità, dipendenza e depressione.
Questa profonda eterogeneità della bulimia rende complesso effettuare un quadro generale delle caratteristiche familiari/relazionali che sono alla base del problema. Quello che possiamo asserire è che anoressia e bulimia sono facce “opposte” della stessa medaglia. Mentre la paziente anoressica è caratterizzata da una maggiore caparbietà e da un elevato grado di controllo su se stessa, i soggetti bulimici presentano una generalizzata incapacità di posticipare la soddisfazione degli impulsi, quindi sperimentano costantemente una perdita di controllo. Le abbuffate e l’uso di purganti non sono generalmente le uniche aree in cui le persone dimostrano l’impulsività; essa di solito riguarda anche i rapporti sessuali, comportamenti autolesionistici ed autodistruttivi, l’uso di sostanze.
Recenti ricerche evidenziano come problematiche familiari, esperienze di abuso fisico e sessuale,autostima negativa, siano tutti fattori associati con lo sviluppo della patologia. In particolare, unascarsa stima di sé favorisce un disturbo dell’alimentazione, distorcendo la visione che le ragazze hanno del loro aspetto fisico. Quello dell’alterazione nella percezione della propria immagine corporea è una delle caratteristiche che accomuna anoressia e bulimia. In una recente ricerca, in cui ai soggetti con disturbi alimentari vengono presentati immagini di corpi femminili con diverso peso corporeo, si chiedeva di scegliere quali disegni rappresentavano meglio il proprio peso e quali potevano indicare il loro aspetto ideale. Quello che è emerso, prevedibilmente, fu una sopravalutazione delle proprie dimensioni e la scelta di figure estremamente esili come ideale.
Ritornando alle caratteristiche della bulimia, dal punto di vista delle dinamiche familiari, si riscontrano anche in questo caso problemi di “invischiamento”. In particolare, sia i genitori che le pazienti hanno difficoltà con le transizioni legate alla fase di separazione. Infatti, il disturbo spesso si manifesta quando i soggetti stanno per “uscire” dal ruolo di adolescenti, trovando lavoro, un partner stabile o trasferendosi altrove. Inoltre molte pazienti bulimiche vivono una mancanza di rispetto per i propri confini e un’intrusione grossolana della loro privacy, che si manifesta, da parte dei parenti, con abusi psicologici e, talvolta, fisici. Come nel caso delle pazienti anoressiche, ciascun membro della famiglia dipende esageratamente da tutti gli altri per mantenere un equilibrio; i genitori della famiglia bulimica hanno un inconscio bisogno che gli altri li vedano come “tutti buoni”. Le qualità non accettate vengono proiettate, trasferite, nella futura bambina bulimica, che diviene così l’unica depositaria della “cattiveria” e portatrice di tutta l’impulsività della famiglia, comportandosi di conseguenza. Si forma così un equilibrio in cui l’attenzione è rivolta alla “malattia” della figlia, piuttosto che sui conflitti presenti nei o tra i genitori.
Alcune considerazioni sulla terapia
Date le implicazioni familiari che riguardano sia l’anoressia che la bulimia, riteniamo che iltrattamento elettivo per questi disturbi sia la psicoterapia familiare, in particolare se il soggetto portatore dei sintomi vive ancora genitori. L’impossibilità di agire sulle motivazioni di tutti i membri, infatti, rende difficile scardinare i sintomi, che sono, di per sé, particolarmente resistenti al cambiamento.
Anche nel caso in cui si propenda per un intervento individuale, i tempi per una cura adeguata sono solitamente medio/lunghi. Scarsa sembra infatti l’efficacia di una “terapia breve”, dato che se non vengono presi in considerazione i sottostanti problemi del Sé (autostima, senso di impotenza, distorsioni relazionali) sono probabili ricadute. Inoltre, è fondamentale che nelle prime fasi dell’intervento (tranne nelle situazioni in cui è fortemente a rischio la salute del paziente) venga evitato un eccessivo investimento sul recupero del peso; il pericolo è che il terapeuta sia vissuto come l’ennesima figura genitoriale svalutante, che sa cosa è il meglio per il paziente.
A cura del Dr. Francesco Mori